In un pomeriggio come tanti, seduti accanto ai bambini, diamo un’occhiata ai compiti, magari facciamo qualche domanda per capire se la lezione è stata appresa… E dopo aver chiesto di ripetere le tabelline o simulato un’interrogazione in storia o scienze, a chi non è mai successo di pensare: “Com’è possibile, non te lo ricordi? Forse non sei stato abbastanza attento… hai già dimenticato quello che hai letto?” e un po’ preoccupati ci domandiamo: “Ma cosa avrà nella testa?”
Ormai da qualche anno, le neuroscienze hanno iniziato a fare luce sui processi grazie ai quali il cervello acquisisce le conoscenze.
Sfruttando tecniche sempre più sofisticate (ad esempio la risonanza magnetica funzionale, che consente di rendere visibile l’attivazione delle diverse aree cerebrali nel momento preciso in cui si esegue una certa azione) è diventato possibile ricostruire i meccanismi con cui le informazioni si imprimono nella mente. Tra le molteplici implicazioni pratiche, queste scoperte permettono di guidare insegnanti, medici e genitori verso una pedagogia dell’apprendimento sempre più efficace: vi propongo dunque una breve “visita” all’ interno del cervello che impara.
Il neurone, le sinapsi e la plasticità cerebrale
Alla base di tutto c’è il neurone (Fig. 1), la cellula ‘mattone’ con cui si costruiscono gli apprendimenti, che si tratti di imparare a leggere o ad andare in bicicletta. Il cervello umano ne possiede quasi 100 miliardi, organizzati in reti neurali (Fig. 2), veri e propri circuiti su cui viaggiano informazioni di ogni tipo, in una dinamica di connessioni che si creano, si rinforzano o si indeboliscono a seconda degli stimoli che ricevono. Possiamo immaginare il cervello come una foresta molto fitta, in cui i sentieri più battuti finiscono per formare delle piste stabili e durevoli, mentre quelli poco frequentati dopo un po’ di tempo si chiudono e scompaiono.
Una proprietà fondamentale di questo sistema è la ‘plasticità cerebrale’ (Fig. 3), ovvero la capacità di gruppi di neuroni di reagire ed adattarsi agli stimoli dell’ambiente. Quando impariamo, la struttura del nostro cervello si modifica: dei neuroni si creano o si ‘allungano’ per connettersi ad altri neuroni in modo più efficace, fino a formare delle ‘autostrade’ su cui le informazioni circolano sempre più velocemente.
Fig. 3 esempio di plasticità neuronale: modificazioni della rete neuronale da stimolazione cognitiva
(da sinistra a destra: a) prima dello studio; b) dopo una settimana di studio; c) dopo 2 mesi di studio
La regola di base è semplice: se una connessione detta sinapsi (Fig. 4), in linguaggio tecnico è stimolata regolarmente, viene mantenuta, se viceversa non è utilizzata, viene soppressa. Questo il motivo per cui è importante, per memorizzare a lungo termine, tornare più e più volte su un argomento.
Fig. 4 rappresentazione schematica di “connessione” tra 2 neuroni: sinapsi
Migliorare la memoria e l’apprendimento a lungo termine
Ma qual è il modo migliore per farlo? Molti sono abituati a pensare che l’apprendimento sia legato esclusivamente allo studio vero e proprio e che le verifiche servano solo a valutare quanto è stato appreso.
In realtà non è così. Riportare alla memoria i contenuti della materia studiata per svolgere un test o per rispondere alle domande di un interlocutore ha un ruolo attivo nel consolidare l’apprendimento, anzi si può dimostrare addirittura più efficace rispetto al semplice ripasso.
Come mai? Perché la rilettura della lezione è un’attività passiva, mentre il dover rispondere a delle domande implica un coinvolgimento attivo, uno sforzo di rielaborazione e di sintesi dei contenuti studiati, sforzo benefico per il rinforzo dei “sentieri” del nostro cervello cioè delle connessioni tra neuroni. Molto meglio allora per i ragazzi spendere meno tempo a rileggere la lezione e provare piuttosto a simulare una verifica, con i compagni o anche con i genitori, purché in modo ludico e senza stress.
Apprendimento ed emozioni
Non dobbiamo dimenticare infatti che le emozioni giocano un ruolo importante nell’apprendimento. Grazie alle ricerche dei neuroscienziati, sappiamo che quando si è contenti, ad esempio per essere riusciti a svolgere bene un esercizio, il cervello reagisce attivando i circuiti della ricompensa attraverso la produzione di una sostanza la dopamina, un neurotrasmettitore legato alla motivazione e al piacere; questa scarica chimica favorisce la creazione o il consolidamento dei “collegamenti” tra neuroni, cioè in termini scientifici delle sinapsi. Lo sforzo compiuto nello studio dovrebbe perciò essere sempre gratificato – a prescindere dal risultato ottenuto! – così da attivare il circolo virtuoso “se mi impegno sono ricompensato e gratificato: ho voglia di impegnarmi ancora”.
C’è da notare che la creazione di nuove connessioni tra neuroni avviene in un tempo che varia da qualche minuto a qualche ora, ma il consolidamento dei “sentieri” richiede un ciclo di 24 ore, in cui il anche riposo ha un ruolo fondamentale. Ecco perché è importante organizzarsi in anticipo in previsione di una verifica facendo varie ripetizioni in giorni diversi, in modo da dare al cervello il tempo di consolidare le connessioni tra neuroni.
Nonostante la ricerca abbia ancora molta strada da compiere, è importante condividerne i risultati, in primo luogo con i ragazzi, molti dei quali ancora possiedono l’idea preconcetta che l’ intelligenza sia fissata alla nascita e non modificabile… al contrario le neuroscienze hanno dimostrato l’incredibile plasticità del cervello, che non smette di trasformarsi, non solo nell’ arco di una giornata, ma durante tutto il corso della vita!
Un esercizio pratico utile e divertente
Dal punto di vista pratico vi propongo una semplice attività che, se praticata con una certa costanza, può migliorare notevolmente le capacità mnemoniche ed anche la proprietà di linguaggio dei nostri ragazzi. Questo secondo aspetto è molto rilevante considerando il progressivo impoverimento della nostra lingua sia parlata che scritta, dovuto anche all’ utilizzo sempre più frequente dei cosiddetti “social” che impongono una comunicazione sempre più semplificata e povera di argomentazioni, fatta di brevi “tweet” spesso sgrammaticati che utilizzano un vocabolario estremamente povero.
Il gioco che vi propongo coinvolge sia i genitori che i bambini e/o ragazzi.
- acquistate un buon dizionario per bambini (vi posso consigliare “Il mio primo dizionario” editore La Spiga oppure “Il piccolo Raffaello – vocabolario di italiano” Gruppo editoriale Raffaello)
- scegliete una parola alla volta, a caso, e chiedete a vostro figlio di spiegarne in maniera sintetica ma molto accurata il significato
- della stessa parola identificate insieme a vostro figlio i sinonimi (cioè le parole che possono avere un significato simile o quasi) e i contrari (cioè le parole che hanno significato opposto alla vostra parola)
- scambiatevi spesso i ruoli
Se dedicherete a questo gioco/esercizio mezz’ ora al giorno vi garantisco che l’eloquio, la memoria, la proprietà di linguaggio e, in generale, la capacità di comunicare miglioreranno notevolmente.
Michele Santalucia – Divulgatore scientifico